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lunedì 5 novembre 2012

Cassazione, Vessato sul lavoro? "Risarcibile anche senza mobbing"

Dal sito dell'AGI
www.agi.it

http://www.agi.it/in-primo-piano/notizie/201211051559-ipp-rt10184-cassazione_vessato_sul_lavoro_risarcibile_anche_senza_mobbing

"""""""""(AGI) - Roma, 5 nov. - Un lavoratore ha diritto a un risarcimento danni per aver subito comportamenti "vessatori e mortificanti", anche se non viene raggiunta la prova che si tratti di vero e proprio mobbing. A sancirlo e' la Cassazione, esaminando il caso di una donna, dipendente di una farmacia, la quale aveva addirittura tentato il suicidio per la depressione conseguente alle "azioni vessatorie" ai suoi danni da parte del datore di lavoro e di colleghi, che l'avevano portata infine al pensionamento anticipato. "Nelle ipotesi in cui il lavoratore chieda il risarcimento del danno patito alla propria integrita' psico-fisica in conseguenza di una pluralita' di comportamenti del datore di lavoro e dei colleghi di lavoro di natura asseritamente vessatoria - si legge nella sentenza n.18927 della sezione lavoro della Suprema Corte - il giudice del merito, pur nella accertata insussistenza di un intentopersecutorio idoneo ad unificare tutti gli episodi addotti dall'interessato e quindi dalla configurabilita' del mobbing, e' tenuto a valutare se alcuni dei comportamenti denunciati, esaminati singolarmente ma sempre in relazione agli altri, pur non essendo accomunati dal medesimo fine persecutorio, possano essere considerati vessatori e mortificanti per il lavoratore e, come tali, siano ascrivibili alla responsabilita' del datore di lavoro che possa essere chiamato a risponderne, ovviamente nei soli limiti dei danni a lui imputabili". Sulla base di questo principio di diritto, la Corte d'appello di Napoli, che aveva in un primo tempo dato torto alla donna, dovra' riesaminare il caso. La dipendente si era rivolta ai giudici denunciando "continui rimproveri", rapporti "difficili" con una collega e una "precisa strategia persecutoria posta in essere dai titolari della farmacia per indurla alle dimissioni".
Secondo gli 'ermellini', il suo ricorso e' fondato: "Se anche le diverse condotte denunciate dal lavoratore non si ricompongano in un unicum e non risultano, pertanto, complessivamente e cumulativamente idonee a destabilizzare l'equilibrio psico-fisico del lavoratore o a mortificare la sua dignita' - si spiega nella sentenza depositata oggi - cio' non esclude che tali condotte o alcune di esse, ancorche' finalisticamente non accomunate, possano risultare, se esaminate separatamente e distintamente lesive dei fondamentali diritti del lavoratore, costituzionalmente tutelati".""""""""".

IL SUICIDIO DELL'INSEGNANTE

Oggi ci troviamo purtroppo a scrivere del suicidio di un insegnante precario di 50 anni,residente nel Meridione.Sposato e padre di due figli.Un insegnante di storia dell'arte che pur avendo ottenuto ad ottobre una laurea specialistica quest'anno non era stato impiegato.Il suo gesto è stato posto in relazione alla sua difficile condizione sociale,addebitato all'insufficienza delle istituzioni e alle politiche perseguite dal responsabile del dicastero, accostato ad analoghi gesti di operai e imprenditori.O, in maniera ancor più complessiva, a questo "sistema" sociale e di valori che probabilmente è alla frutta.Sostanzialmente l'accusa è che chi ci sta governando negli ultimi tempi abbia messo in soffitta la Costituzione e che abbia adottato una insopportabile serie di provvedimenti punitivi per il mondo del lavoro che hanno sfasciato la condivisione di valori e di una prospettiva comune.Le menti, in altre parole, sarebbero state sconvolte dall'avanzare della precarietà e dalla scomparsa di approdi lavorativi stabili e sicuri.
Rispettiamo il gesto dell'insegnante, un individuo ha il diritto di sottrarsi a un destino per lui così insopportabile.
Non ci piace come i governi (quelli di tutte le tendenze politiche succedutesi e quello presente, che vede il sostegno al Ministro da parte delle più grandi forze del Centro, Destra e Sinistra) abbiano trattato e stiano trattando la Scuola, gli studenti e gli insegnanti.Non ci piace chi, allo stesso tempo, piange questa vita che se ne è andata e, contemporaneamente, sui suoi organi di stampa, fa finta di fare opposizione (pur votando per il Governo) per non perdere voti di quella categoria. Non ci piace chi accusa la società di decadimento dei valori e nello stesso tempo, per rassicurare i suoi elettori, ne accetta i principi egoistici e utilitaristici,ben sapendo che sono illusori i meccanismi (che non si sono mai visti concretamente) di temperamento delle scelte economiche con le esigenze sociali.Non ci piace chi ha cercato di egemonizzare per decenni il mondo della scuola (riuscendoci in parte) , lavando i cervelli di migliaia di insegnanti, convincendoli che solo considerandosi massa (e solo massa) avrebbero potuto aspirare a una riscossa collettiva. Quando si compiono queste operazioni mistificatorie poi non ci si può sorprendere degli effetti delle delusioni storiche, dei riflussi, delle reazioni sconfortate e disperate, fino al gesto estremo.I grandi "condottieri" di queste "rivoluzioni culturali"sono ancora lì, gli stessi, dagli anni settanta ad oggi. Loro, alimentatisi di frustrazione e di precarietà (degli altri) sono ancora vivi, altri, vittime più deboli delle illusioni seminate da costoro, sono affondati. E, infine, siamo un pò stanchi del fatto che questa povera Costituzione repubblicana del 1948 venga continuamente chiamata in causa dai figli degeneri di coloro che la concepirono. E' indegno che esseri fatti di nulla se ne servano per assurgere a quella dignità che mai si sono conquistati con la loro opera.
Rivolgiamo anche noi un pensiero alla memoria di Carmine, dicendo però ai suoi colleghi che il modo migliore per onorarne il gesto non sarà nè nel compiangerlo nè nel partecipare al coro organizzato dai finti nemici del precariato.
Bensì nel presentare il conto politico (di questa e altre vite) ai responsabili morali (la classe dirigente di questo Paese, composta da governo succube delle banche e finti critici/oppositori) e di porre le basi, come intellettuali, di una nuova società con valori nuovi in cui non accada più che se un insegnante non riesca a stabilizzarsi in una cattedra con uno stipendio fisso ma da fame non gli si consenta di poter aspirare a impieghi altrettanto onorevoli e meglio remunerati: cioè a "un'attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società".