IL MINISTRO DELLO SVILUPPO ECONOMICO Visto l'articolo 45, comma 1, della Costituzione; Visto il decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 14 dicembre 1947, n. 1577; Visto il decreto del Ministro per il lavoro e la previdenza sociale 18 luglio 1975, pubblicato per estratto nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 211 dell'8 agosto 1975, con il quale l'Unione nazionale cooperative italiane (U.N.C.I.) e' stata riconosciuta quale associazione nazionale di rappresentanza assistenza e tutela del movimento cooperativo, ai sensi e per gli effetti degli articoli 4 e 5 del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato n. 1577 del 1947, e ne e' stato altresi' approvato il relativo statuto; Visti gli articoli 27 e 28 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300 recante la riforma dell'organizzazione del Governo, a norma dell'articolo 11 della legge 15 marzo 1997, n. 59, con i quali si attribuiscono al Ministero delle attivita' produttive le funzioni ed i compiti gia' di competenza del Ministero del lavoro e della previdenza sociale in materia di cooperazione; Visto il decreto-legge 18 maggio 2006, n. 181, convertito con modificazioni dalla legge 17 luglio 2006, n. 233, ed in particolare l'articolo 1, comma 12, il quale dispone che la denominazione «Ministero dello sviluppo economico» sostituisce, ad ogni effetto e ovunque presente, la denominazione «Ministero delle attivita' produttive» in relazione alle funzioni gia' conferite a tale Dicastero; Visto l'articolo 1 del decreto del Presidente della Repubblica 10 febbraio 2000, n. 361, recante norme per la semplificazione dei procedimenti di riconoscimento di persone giuridiche private e di approvazione delle modifiche dell'atto costitutivo e dello statuto; Visto l'articolo 3 del decreto legislativo 2 agosto 2002, n. 220 ed in particolare il comma 7, in forza del quale il Ministro delle attivita' produttive puo' revocare il riconoscimento alle Associazioni nazionali che non sono in grado di assolvere efficacemente le proprie funzioni di vigilanza sugli enti cooperativi associati; Visto il decreto del Presidente della Repubblica 28 novembre 2008, n. 197, recante il regolamento di organizzazione del Ministero dello sviluppo economico; Vista la relazione del Direttore Generale per le piccole medie imprese e gli enti cooperativi, allegata alla nota prot. n. 121080 in data 17 luglio 2013, con la quale sono state segnalate perduranti problematiche ed inefficienze nell'attivita' di vigilanza dell'U.N.C.I. nei confronti delle cooperative associate, stante il persistere di una conflittualita' interna circa il soggetto titolato all'effettiva rappresentanza dell'associazione, manifestata dalla nomina di rappresentanti legali eletti in adunanze separate, indette di volta in volta da organi oggetto di contestazione, con deliberazioni impugnate in sede giurisdizionale che hanno determinato pronunce difformi e non definitive, rese in sede cautelare; Vista la relazione dei Sindaci dell'U.N.C.I. i quali nel mese di dicembre 2010 avevano segnalato un perdurante stato di immobilita' dell'attivita' amministrativa dell'Associazione di rappresentanza, a seguito del conflitto insorto in seno ai relativi organi statutari, il quale non consentiva un andamento ordinato della gestione amministrativa e associativa, con conseguente mancata approvazione del bilancio consuntivo 2009 e del bilancio preventivo 2010 nonche' delle quote associative per l'anno 2010, atti indispensabili per il corretto svolgimento della vita associativa; Viste le risultanze dell'attivita' di vigilanza svolta dal Ministero nei confronti dell'Associazione nell'anno 2011, che ha confermato irregolarita' gestionali consistenti nella mancata approvazione di bilanci, nelle intervenute modifiche statutarie in contrasto con le indicazioni ministeriali, nelle ricorrenti carenze nella redazione dei verbali di revisione da parte dei revisori incaricati dall'U.N.C.I.; Viste le diffide rivolte all'U.N.C.I. a disporre specifici correttivi nell'organizzazione dell'attivita' revisionale, da attuarsi mediante programmazione e realizzazione di attivita' formativa e di aggiornamento dei revisori, in esito alle quali sono pervenute risposte contrastanti dai diversi soggetti che rivendicavano, contemporaneamente ed in conflitto tra di loro, la titolarita' della qualita' di legale rappresentante dell'Associazione; Preso atto della corrispondenza intercorsa con la Prefettura di Roma - Ufficio territoriale del Governo, la quale attesta il perpetuarsi della situazione di forte conflitto, dovuto alle contrapposte richieste di iscrizione, quale rappresentante legale, nel registro prefettizio delle persone giuridiche, da parte di soggetti diversi, legittimati a seguito di successive pronunce, non definitive e non univoche, rese dal Tribunale Civile di Roma. In particolare, nel solo ultimo anno risulta che sulla base di successive assemblee congressuali e di distinti provvedimenti giudiziali la Prefettura di Roma ha proceduto ad iscrivere quale presidente legale rappresentante prima il Cav. Pasquale Amico, poi il Sig. Cosimo Mignogna, successivamente il Cav. Pasquale Amico e, da ultimo, in data 29 settembre 2013, il Sig. Cosimo Mignogna; Vista la nota del Sindacato FE.S.I.C.A., pervenuta in data 13 settembre 2012, con la quale si segnala al Ministero l'assenza di certezze circa l'effettiva titolarita' della rappresentanza legale dell'U.N.C.I., ribadita con successiva nota dello stesso Sindacato del 15 marzo 2013, con la quale si rinnova la richiesta di chiarimenti sul soggetto titolato a rappresentare l'Associazione in giudizio, nel procedimento di opposizione al licenziamento di dipendenti in servizio presso la sede nazionale di U.N.C.I.; Tenuto conto delle segnalazioni e richieste di chiarimenti rivolte al Ministero, provenienti da enti di natura pubblica e privata presso i quali l'U.N.C.I. ha designato propri rappresentanti, circa l'effettivita' della carica di rappresentante legale dell'Associazione medesima, stanti le contrastanti affermazioni provenienti da soggetti che assumono di essere titolati; Preso atto delle numerose pronunce rese dal Tribunale di Roma, dalle quali emerge un insanabile conflitto e la non univoca individuazione del rappresentante legale dell'U.N.C.I. ed in particolare: - ordinanza 27 aprile 2012, la quale rinvia alla inevitabile convocazione dell'assemblea degli associati l'adozione delle decisioni necessarie per risolvere le problematiche verificatesi e ripristinare un regolare sistema amministrativo; - ordinanza collegiale 19 giugno 2012 la quale riconosce la validita' della costituzione in giudizio dell'UNCI nella persona del rappresentante legale p.t. Pasquale Amico; - ordinanza 27 luglio 2012, giudice dott.ssa Buonocore, con la quale e' stato ingiunto al prof. Paolo Galligioni di "immettere Amico Pasquale, quale neo nominato presidente dell'U.N.C.I. nella disponibilita' della documentazione e dei beni di pertinenza della predetta associazione e di consentire allo stesso il libero accesso alla sede dell'Ente, per l'espletamento delle funzioni di pertinenza; astenersi dal compimento di atti ed attivita' riservate, per legge o per statuto, al Presidente dell'U.N.C.I. o ad altro diverso organo dell'Associazione; astenersi dalla spendita della qualita' di presidente dell'U.N.C.I. nei rapporti con gli associati ed i terzi"; - ordinanza 16 novembre 2012, giudice dott. Scerrato, con la quale e' stata rigettata l'istanza di sospensione della delibera congressuale del 24 marzo 2012 che ha eletto il Cav. Amico a Presidente dell'U.N.C.I., confermata con successiva ordinanza collegiale del 6 febbraio 2013; - ordinanza del 10 gennaio 2013, giudice dott.ssa Dell'Orfano, che ha dichiarato la piena regolarita' di tutti gli atti prodromici al congresso del 24 marzo 2012, riguardante l'elezione del Cav. Pasquale Amico quale presidente e legale rappresentante dell'U.N.C.I.; - sentenza n. 16217 dell'11 giugno 2013, depositata in data 22 luglio 2013, con la quale il Tribunale di Roma - III Sezione Civile, ha accertato che lo statuto dell'U.N.C.I. da applicare e' quello del 2000, dichiarando altresi' nulla la deliberazione del Consiglio Generale U.N.C.I. del 23 giugno 2010 con cui venne fissata la convocazione del Congresso nazionale straordinario dell'Associazione ed approvato il relativo regolamento congressuale. Sulla base di detto provvedimento giudiziale e del congresso straordinario del 15 luglio 2013, la Prefettura di Roma ha provveduto ad iscrivere nel registro delle persone giuridiche il signor Mignogna Cosimo quale presidente e legale rappresentante dell'U.N.C.I.; - ordinanza del Tribunale Civile di Roma, Sezione III, giudice dott.ssa Libri, del 29 luglio 2013 con la quale e' stata in via preliminare rilevata l'infondatezza della eccezione di difetto di legittimazione passiva dell'U.N.C.I., rappresentata dal Cav. Amico, sul presupposto della spettanza a costui della carica di presidente dell'U.N.C.I., a seguito dell'elezione del 24 marzo 2012; Vista la comunicazione dell'avvio del procedimento di revoca di cui alla nota prot. n. 145274 in data 6 settembre 2013; Valutate le argomentazioni formulate mediante deposito di documentazione prodotta nel corso della accordata audizione delle parti controinteressate svoltasi in data 18 settembre 2013; Vista la successiva nota prot. n. 161545 in data 3 ottobre 2013 con la quale l'Amministrazione ha comunicato la sospensione per trenta giorni, ai sensi dell'articolo 2, comma 7, della legge 7 agosto 1990, n. 241 del termine finale del procedimento di revoca; Preso atto altresi' che, successivamente alla comunicazione del 3 ottobre 2013, inerente la sospensione del termine finale del procedimento di revoca, in data 18 ottobre 2013 veniva richiesto all'U.N.C.I. un aggiornamento di notizie circa l'attivita' di vigilanza svolta; Preso atto che nel corso del procedimento di verifica dei presupposti per la revoca, il Cav. Amico ha ribadito l'avvenuta assegnazione di 3.403 incarichi di revisione cooperativa nell'anno 2013, con la conclusione di solo 296 di essi, ed il Sig. Mignogna ha dichiarato di aver autonomamente disposto l'effettuazione di circa 1.500 revisioni cooperative dietro segnalazione degli uffici regionali dell'Associazione, restando dunque acclarata l'incertezza sulla individuazione della carica di presidente e di soggetto legittimato all'attribuzione degli incarichi di revisione; Ritenuto che la predetta incertezza sulla individuazione della carica di presidente e di soggetto legittimato all'attribuzione degli incarichi di revisione incide sul corretto svolgimento dell'attivita' revisionale con possibili ripercussioni sugli esiti della stessa; Valutate le dichiarazioni e le osservazioni che le due parti hanno reso negli incontri tenuti presso la Direzione generale per le piccole e medie imprese e gli enti cooperativi, attraverso le quali e' stata ribadita da un lato l'impossibilita' di una soluzione stragiudiziale del perdurante conflitto, dall'altra la riproposizione dello sdoppiamento delle strutture sociali ed amministrative, fatti questi che rappresentano un evidente ostacolo alla corretta e serena gestione del rapporto associativo e revisionale con le cooperative aderenti; Considerato che tale perdurante incertezza nella titolarita' della "governance" associativa ostacola l'efficace svolgimento della attivita' revisionale nei confronti degli enti cooperativi associati e le relazioni con i soggetti istituzionali che hanno rapporti con l'U.N.C.I.; Preso atto che a causa della conflittualita' interna sono state fissate due distinte sedi sociali, ubicate in luoghi diversi, con conseguente indeterminatezza ai fini delle comunicazioni, notifiche e rapporti istituzionali; Considerato che la revoca del riconoscimento costituisce l'unico provvedimento previsto dalla legge come adottabile da parte della Amministrazione, in presenza di presupposti incidenti sullo svolgimento corretto ed efficiente della attivita' revisionale nei confronti delle societa' cooperative aderenti; Ritenuto che sussistono i presupposti di fatto e di diritto per l'adozione, ai sensi dell'articolo 3, comma 7, del decreto legislativo 2 agosto 2002 n. 220, del provvedimento di revoca del riconoscimento dell'associazione U.N.C.I., atteso che la medesima Associazione non risulta essere piu' in grado di assolvere efficacemente alle funzioni di vigilanza sugli enti cooperativi associati, ad essa demandate; Considerato che il suddetto riconoscimento e' intervenuto con decreto ministeriale 18 luglio 1975, adottato ai sensi e per gli effetti degli articoli 4 e 5 del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 14 dicembre 1947, n. 1577, rilevando dunque sia ai fini della legittimazione allo svolgimento dell'attivita' di vigilanza sia ai fini dell'acquisto della personalita' giuridica; Considerate le sopravvenute modifiche normative (articolo 1 del decreto del Presidente della Repubblica 10 febbraio 2000, n. 361, recante norme per la semplificazione dei procedimenti di riconoscimento di persone giuridiche private e di approvazione delle modifiche dell'atto costitutivo e dello statuto e articolo 3 del decreto legislativo 2 agosto 2002, n. 220) le quali circoscrivono il riconoscimento da parte di questo Ministero alla sola legittimazione allo svolgimento dell'attivita' di vigilanza; Considerato che il presente provvedimento di revoca incide su di un riconoscimento, avvenuto in epoca antecedente alle suddette modifiche normative, che ha rivestito la duplice inscindibile valenza di legittimazione allo svolgimento dell'attivita' di vigilanza e di acquisto della personalita' giuridica, e dunque deve valere per ogni effetto conseguente allo stesso riconoscimento; Visto l'articolo 11, comma 1, della legge 31 gennaio 1992, n. 59, il quale prevede che le associazioni nazionali di rappresentanza, assistenza e tutela del movimento cooperativo, riconosciute ai sensi dell'articolo 5 del citato decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 14 dicembre 1947, n. 1577, e successive modificazioni, e quelle riconosciute in base a leggi emanate da regioni a statuto speciale possono costituire fondi mutualistici per la promozione e lo sviluppo della cooperazione, i quali possono essere gestiti senza scopo di lucro da societa' per azioni o da associazioni e sono alimentati ed incrementati ai sensi dei commi 4 e 5 del medesimo articolo 11; Considerato che l'U.N.C.I. ha costituito un fondo mutualistico gestito da Fondo per la promozione e lo sviluppo della cooperazione - Promocoop S.p.A.; Ritenuto di dover disporre circa gli aspetti conseguenziali alla revoca del riconoscimento dell'U.N.C.I.; Decreta Art. 1 1. Ai sensi dell'articolo 3, comma 7, del decreto legislativo 2 agosto 2002, n. 220, e' revocato ad ogni effetto il riconoscimento dell'Unione nazionale cooperative italiane (U.N.C.I.), quale associazione nazionale di rappresentanza e tutela del movimento cooperativo, di cui al decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale 18 luglio 1975, adottato ai sensi degli articoli 4 e 5 del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 14 dicembre 1947, n. 1577. Art. 2 1. A far data dalla pubblicazione del presente decreto, l'U.N.C.I. non e' piu' legittimato a ricevere alcun versamento di cui all'articolo 8 del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato n. 1577 del 1947, a titolo di contributo per l'attivita' revisionale da parte delle cooperative e degli enti mutualistici, quali individuati ai sensi dell'articolo 1 del decreto legislativo n. 220 del 2002. 2. A far data dalla suddetta pubblicazione, all'associazione U.N.C.I. e' fatto divieto di accettare versamenti relativi alle fattispecie di cui al comma 1, pena le responsabilita' configurabili alla stregua della normativa vigente. 3. Con successivo provvedimento saranno stabiliti criteri e modalita' per la definizione dei rapporti pendenti e per la individuazione delle risorse residue, acquisite per le attivita' revisionali, da versare al Bilancio entrata dello Stato, Capo XVIII, Capitolo 3592. Art. 3 1. A far data dalla pubblicazione del presente decreto, cessa la legittimazione della societa' Fondo per la promozione e lo sviluppo della cooperazione - Promocoop S.p.A., che gestisce il fondo mutualistico costituito dall'U.N.C.I. ai sensi dell'articolo 11 della legge 31 gennaio 1992, n. 59, ad accettare versamenti e devoluzioni di cui al medesimo articolo 11, commi 4 e 5, rivenienti dalle societa' cooperative e dagli enti mutualistici quali individuati ai sensi dell'articolo 1 del decreto legislativo n. 220 del 2002. 2. A far data dalla suddetta pubblicazione, alla societa' Fondo per la promozione e lo sviluppo della cooperazione - Promocoop S.p.A. e' fatto divieto di accettare versamenti e devoluzioni relativi alle fattispecie di cui al comma 1, pena le responsabilita' configurabili alla stregua della normativa vigente. 3. Con successivo provvedimento saranno stabiliti criteri e modalita' per la definizione dei rapporti pendenti e per la individuazione delle risorse residue, acquisite per le finalita' di cui al citato articolo 11, da versare al Bilancio entrata dello Stato, Capo XVIII, Capitolo 3592. Il presente decreto sara' pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana. Avverso il presente provvedimento e' ammesso, entro 60 giorni, ricorso giurisdizionale dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio ovvero, entro 120 giorni, ricorso straordinario al Presidente della Repubblica ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica n. 1199 del 1971. Roma, 22 novembre 2013 Il Ministro: Zanonato
martedì 3 dicembre 2013
COOPERATIVE: IL MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO DECRETA LA FINE DELL'UNCI E DEL FONDO MUTUALISTICO PROMOCOOP
pubblicato sulla gazzetta ufficiale n.275 del 23 nov.2013
giovedì 18 aprile 2013
martedì 16 aprile 2013
MA TU VULIVE 'A PIZZA
venerdì 12 aprile 2013
AL VIA A MILANO IL PROCESSO PER L'AVVELENAMENTO DI UN FARMACISTA DA PARTE DI UN IMPRENDITORE DELL'AUTOTRASPORTO: IPOTESI INQUIETANTI AL VAGLIO DEI GIUDICI
Molti ricorderanno il fatto di cronaca
che ebbe qualche tempo fa risonanza nazionale. L'anomalo omicidio,
tramite avvelenamento, da parte di un imprenditore in difficoltà
dell'”amico” farmacista.
La vicenda torna alla ribalta (lo
testimonia l'articolo apparso ieri sulla cronaca milanese di
Repubblica e che qui riportiamo) perchè è arrivato il momento
dell'inizio del processo. Saranno i giudici a dirimere la questione e
non sarà un compito facile. Certo, la linea difensiva
dell'imprenditore scelta da parte dell'Avvocato Andrea Benzi, del
Foro di Milano, se le gravi ipotesi che innanzitutto la Squadra
Mobile ha avanzato (delitto consumatosi all'interno di un giro di
usura in cui sono coinvolti anche pregiudicati appartenenti a clan
mafiosi) saranno confermate dai giudici , non potrà non dipingere
anche un preoccupante affresco delle condizioni nelle quali la
piccola impresa oggi si trova a operare nel nostro Paese, in
particolare al nord. L'imprenditore, Gianfranco Bona, era a capo di
una impresa dell'autotrasporto che contava una ventina di dipendenti.
Il nostro Sindacato, l'AGL, si è adoperato in prima persona, nei
mesi scorsi, tramite accordi individuali stipulati in sede sindacale,
affinchè per i lavoratori fosse garantita una uscita indolore
dall'azienda ormai cessata e a rischio di fallimento. Una vicenda
amarissima che dimostra come due questioni, pur da tempo all'ordine
del giorno della polemica politica (le Pubbliche Amministrazioni che
non saldano i propri debiti con le imprese fornitrici e il ruolo
sconcertante da parte del sistema bancario nel creare più difficoltà
possibili al sistema delle imprese e ai suoi lavoratori) irrisolte
per mancanza di volontà da parte di chi ha governato finora il
Paese, stanno mietendo vittime (pensiamo ai suicidi) tra
imprenditori, professionisti e soprattutto i lavoratori e le loro
famiglie che finiscono sul lastrico. In Italia si suol dire che il
potere pubblico si muove tardi sulle situazioni più a rischio e solo
quando ci scappa il morto. Ecco, qui non solo i morti ci sono da mesi
ma abbiamo l'impressione che un po' tutti ci stiamo facendo
l'abitudine. Non solo quindi un paese in decadenza per la crisi
globale ma, purtroppo , un'Italia che sta sempre più sprofondando
nell'indifferenza, nella violenza e nella barbarie. Inutile dire che
se è la mafia l'unico prodotto italiano per il quale va a gonfie
vele sia l'esportazione (valga a dimostrarlo l'ultimo libro di
Saviano in cui si osserva che il modello italiano è sempre più il
punto di riferimento per le più spietate cosche nel mondo) sia il
mercato interno (assieme all'usura può entrare nelle vite di tutti,
come questo fatto di cronaca conferma) allora sono in pericolo la
convivenza civile e la democrazia. E significa pure che la spinta
propulsiva delle vecchie associazioni anti mafia e anti usura forse
si è esaurita e finalmente è arrivata l'ora che ogni partito, ogni
sindacato (come noi dell'AGL), ogni organizzazione datoriale, ogni
ordine professionale debba prendere in mano queste bandiere, senza
più delegarle ad avanguardie solitarie.
domenica 24 febbraio 2013
REDDITOMETRO BOCCIATO: EVVIVA IL PENSIONATO DI POZZUOLI!
Non c'erano riusciti sindacati più o
meno rappresentativi a mettere in crisi, su vari temi,esterni e
interni, il Dott. Befera e l'Agenzia delle Entrate. L'impresa è
riuscita a un pensionato di Pozzuoli (NA) . Il 4 gennaio è partito
il redditometro ma il viaggio è durato poco. Un pensionato di
Pozzuoli ha fatto causa al Fisco per tutela della Privacy e un
giudice del Tribunale di Napoli gli ha dato ragione, vietando il
redditometro.Motivo: porta alla soppressione del diritto del
contribuente e della sua famiglia a una vita privata.Il giudice
inoltre articola una interessante illustrazione delle incongruità
dello strumento che non considera le differenze nel costo della vita
tra i territori, rischiando di identificare come eccessivamente alto
rispetto al reddito un determinato tenore di vita. Ovviamente
l'Agenzia delle Entrate ricorrerà, il nuovo governo probabilmente
metterà mano allo strumento per calibrarlo meglio, quello che ci
domandiamo solamente è: le nove banche dati a cui attingerebbe
l'Agenzia delle Entrate , costate al contribuente miliardi e che
certo non hanno indotto risparmi , non sarebbe meglio fossero
unificate e indirizzate a incrociare meglio i dati degli italiani
che non siano (una volta tanto) dipendenti o pensionati? In attesa
che la giustizia migliori e che la macchina fiscale venga
semplificata, razionalizzata e meglio indirizzata, prendiamo atto
che si tratta di un gran giorno per la Libertà e dell'ennesima
debacle della P.A. In una delle sue versioni considerate più
d'avanguardia (non ci si dica infatti che la colpa sia solo di Monti
e Grilli) . Dieci, Cento, Mille Pensionati di Pozzuoli!
venerdì 18 gennaio 2013
DEL SUICIDIO DELL'IMPIEGATO INCASTRATO DALLA TV
da "LEGGO"
www.leggo.it
"""""""""Venerdì 18 Gennaio 2013 - 12:50
NAPOLI - Risale quasi esattamente a un anno fa, il 24 gennaio 2012, una puntata di "Striscia la Notizia" in cui l'inviato Luca Abete denuncia una "cattiva prassi al Catasto di Napoli", questo il titolo del servizio.
Le telecamere del tg satirico accusano che nel Catasto partenopeo di via De gasperi gli impiegati accettano "mazzette" per consegnare pratiche a persone che non ne avrebbero diritto perché sprovviste di delega. Con 20 euro la pratica è bella e pronta. Con l'aiuto di una complice munita di telecamera nascosta, si richiede la pratica, che viene inizialmente negata. Basta allungare la banconota azzurra e dopo poco si ottinene il documento. Allo sportello c'è un uomo di mezza età, che viene così smascherato e lo scoop è riuscito.
Quell'impiegato è Lucio Montaina. Alle cinque di mattina di ieri ha aperto la finestra di casa sua, al settimo piano di via Filippo Maria Briganti a Napoli, e si è lanciato nel vuoto. «Questa volta Striscia la Notizia si è macchiata di un'azione di sciacallaggio, Lucio era un impiegato perbene, non era certo uno che chiedeva tangenti, come si vede dal filmato quei 20 euro glieli hanno offerti...». Gli impiegati del Catasto lo conoscevano bene quell'uomo calvo e con i baffi che lascia una moglie e due figli. Non vogliono passare per corrotti e dicono: «È giusto perseguire chi ruba e chi commette illeciti, ma non si può braccare un uomo come se fosse un delinquente. Lucio era una persona perbene, non accettiamo questa condanna televisiva senz'appello».
Lucio era statto licenziato senza neanche un avviso di garanzia, come racconta al Corriere della Sera il sindacalista Salvatore Iossa: «L'amministrazione dell'Agenzia del Territorio l'aveva denunciato e poi licenziato in tronco. Lucio (in realtà era un funzionario di VI livello) aveva presentato ricorso e il giudice del lavoro l'aveva accolto. Reintegrato per qualche mese era stato trasferito ad altro incarico, poi però l'ente aveva presentato appello contro il reintegro e aveva vinto, Montaina era tornato a casa senza un lavoro. Ora stava cercando di arrivare a un'intesa con l'ufficio accettando un periodo di sospensione invece del licenziamento. Domani (oggi per chi legge, ndr) avrebbe dovuto partecipare a un'udienza invece celebreremo il suo funerale»."""""""""
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COMMENTO DELL'ALP-AGL:
Le telecamere del tg satirico accusano che nel Catasto partenopeo di via De gasperi gli impiegati accettano "mazzette" per consegnare pratiche a persone che non ne avrebbero diritto perché sprovviste di delega. Con 20 euro la pratica è bella e pronta. Con l'aiuto di una complice munita di telecamera nascosta, si richiede la pratica, che viene inizialmente negata. Basta allungare la banconota azzurra e dopo poco si ottinene il documento. Allo sportello c'è un uomo di mezza età, che viene così smascherato e lo scoop è riuscito.
Quell'impiegato è Lucio Montaina. Alle cinque di mattina di ieri ha aperto la finestra di casa sua, al settimo piano di via Filippo Maria Briganti a Napoli, e si è lanciato nel vuoto. «Questa volta Striscia la Notizia si è macchiata di un'azione di sciacallaggio, Lucio era un impiegato perbene, non era certo uno che chiedeva tangenti, come si vede dal filmato quei 20 euro glieli hanno offerti...». Gli impiegati del Catasto lo conoscevano bene quell'uomo calvo e con i baffi che lascia una moglie e due figli. Non vogliono passare per corrotti e dicono: «È giusto perseguire chi ruba e chi commette illeciti, ma non si può braccare un uomo come se fosse un delinquente. Lucio era una persona perbene, non accettiamo questa condanna televisiva senz'appello».
Lucio era statto licenziato senza neanche un avviso di garanzia, come racconta al Corriere della Sera il sindacalista Salvatore Iossa: «L'amministrazione dell'Agenzia del Territorio l'aveva denunciato e poi licenziato in tronco. Lucio (in realtà era un funzionario di VI livello) aveva presentato ricorso e il giudice del lavoro l'aveva accolto. Reintegrato per qualche mese era stato trasferito ad altro incarico, poi però l'ente aveva presentato appello contro il reintegro e aveva vinto, Montaina era tornato a casa senza un lavoro. Ora stava cercando di arrivare a un'intesa con l'ufficio accettando un periodo di sospensione invece del licenziamento. Domani (oggi per chi legge, ndr) avrebbe dovuto partecipare a un'udienza invece celebreremo il suo funerale»."""""""""
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COMMENTO DELL'ALP-AGL:
Questa terribile vicenda deve farci riflettere.
La corruzione nella P.A. è una realtà, molto più grave del fatto oggetto di quell'inchiesta giornalistica. Altro che impiegati di VI livello e altro che 20 euro! Sappiamo tutti che il cattivo esempio viene dall'alto.
Diamo per scontata quindi la condanna, doverosa, di ogni e qualsiasi reato e di quei casi in cui certo giornalismo rischia di arrecare danni irreparabili alla vita di persone deboli e impreparate.
Andiamo oltre. Qui emergono questioni gravi e irrisolte. Innanzitutto l'inadeguatezza degli stipendi dei pubblici impiegati, bloccati da anni. Ed è inammissibile controbattere che si tratterebbe comunque di privilegiati, a confronto di disoccupati, precari e cassintegrati. E' invece una insopportabile umiliazione all'interno della più ampia disavventura che sta colpendo in questi anni il mondo del lavoro dipendente. Se effettivamente la PA non è in grado di pagare adeguatamente i propri funzionari, allora se ne prenda atto, si cambino le leggi e venga abolito l'obbligo di esclusività , dando la possibilità, legalmente e alla luce del sole, a un impiegato pubblico di svolgere un secondo lavoro di qualsiasi tipo. Così come, nel privato, vengano rimossi tutti i vincoli fiscali e burocratici che rendono impossibile muoversi liberamente sul mercato del lavoro. Il lavoro contrariamente a quel che si crede c'è, la gente (ivi compresi i pensionati) vorrebbe darsi da fare ma può farlo solo di nascosto, per non essere ammazzata di tasse, di controlli e di sanzioni disciplinari. Pazienza che venga intaccata la sacralità delle mastodontiche amministrazioni che in realtà imprigionano il nostro Paese e che si avvalgono del lavoro pressochè gratuito (ricambiato con somme che assomigliano più a sussidi che a stipendi ex art. 36 della Costituzione). La gente, le famiglie, devono sopravvivere e gli alti burocrati possono ben stringere la cinghia, per un pò.
Esiste poi un problema di depenalizzazione. E' assurdo che un essere umano debba suicidarsi per 20 euro, dopo che la propria reputazione e la propria vita siano state rovinate e che criminali che si sono venduti (tramite appalti e esternalizzazioni a beneficio di amici generosi) pezzi di pubblica amministrazione (pagata da tutti noi) siano lasciati o indisturbati a godersi pensioni milionarie e ville hollywoodiane che neppure colleghi di pari grado sono riusciti a costruirsi con i risparmi sullo stipendio o scoperti e interpellati solo dopo anni (è un caso?) quando ormai qualunque di questi reati risulta prescritto. Siamo arrivati all'assurdo che chi compie falso in bilancio esce pulito da accuse e chi in un momento di debolezza allunga una mano e accetta 20 euro oppure chi ruba una pera al supermercato viene sbattuto agli arresti.
Altra questione annosa è l'abuso che nella PA da anni viene operato del potere disciplinare che ormai non viene più azionato per interessi pubblici ma per finalità private di coloro che hanno interesse a creare un clima di terrore negli uffici che porti ad omertà e impunità, oltre che al silenzio verso l'esterno.Ricordiamo (anche nel caso di cui trattasi è capitato) che può accadere che vi sia una sospensione e quindi una pressochè totale non corresponsione dello stipendio, anche quando ci sono famiglie monoreddito di mezzo.
Andrebbe poi assicurata adeguata tutela giurisdizionale a chi lavora nello Stato. La difesa gratuita da parte dell'Avvocatura dello Stato va garantita a tutti i funzionari pubblici o a nessuno. Altrimenti si presume, in maniera inaccettabile, che l'alto dirigente possa essere identificato con lo Stato e il cittadino funzionario (che agisce sempre sulla base di ordini e prassi imposte dai superiori) no. E perchè? Per grazia divina? O per alimentare terrore e sottomissione a beneficio di chi nella PA fa affari ben più grossi dei 20 euro di quel poveraccio?
Lotta ai fannulloni, quindi, colpendo chiunque si comporti infedelmente nella PA, sia esso commesso o alto dirigente, riformare la PA a beneficio delle persone più bisognose, non licenziare ma attraverso la mobilità tra amministrazioni e un blocco del turn over legato alla informatizzazione , affrontare eventuali esuberi derivanti da limiti di spesa ma , anche, tornare a una vera contrattazione, sbloccare gli stipendi, aumentandoli significativamente, dando di più a chi lavora di più , eliminare l'assurda distanza tra gli stipendi dei dirigenti e quelli del resto del personale, liberalizzare il mercato del lavoro anche per i pubblici impiegati. Ridare dignità al lavoratore, rivedendo completamente l'esercizio del potere disciplinare e le modalità con le quali l'impiegato pubblico possa far valere i propri diritti, favorendo la crescita dello strumento arbitrale per dirimere le controversie interne.
Non sappiamo se in Italia qualche partito o il futuro governo sia d'accordo su queste proposte, quello che è certo che l'AGL combatterà per tradurle in realtà, nonostante il resto del mondo sindacale si occupi più della propria autoconservazione che del destino degli uomini che lavorano per la Collettività.
Diamo per scontata quindi la condanna, doverosa, di ogni e qualsiasi reato e di quei casi in cui certo giornalismo rischia di arrecare danni irreparabili alla vita di persone deboli e impreparate.
Andiamo oltre. Qui emergono questioni gravi e irrisolte. Innanzitutto l'inadeguatezza degli stipendi dei pubblici impiegati, bloccati da anni. Ed è inammissibile controbattere che si tratterebbe comunque di privilegiati, a confronto di disoccupati, precari e cassintegrati. E' invece una insopportabile umiliazione all'interno della più ampia disavventura che sta colpendo in questi anni il mondo del lavoro dipendente. Se effettivamente la PA non è in grado di pagare adeguatamente i propri funzionari, allora se ne prenda atto, si cambino le leggi e venga abolito l'obbligo di esclusività , dando la possibilità, legalmente e alla luce del sole, a un impiegato pubblico di svolgere un secondo lavoro di qualsiasi tipo. Così come, nel privato, vengano rimossi tutti i vincoli fiscali e burocratici che rendono impossibile muoversi liberamente sul mercato del lavoro. Il lavoro contrariamente a quel che si crede c'è, la gente (ivi compresi i pensionati) vorrebbe darsi da fare ma può farlo solo di nascosto, per non essere ammazzata di tasse, di controlli e di sanzioni disciplinari. Pazienza che venga intaccata la sacralità delle mastodontiche amministrazioni che in realtà imprigionano il nostro Paese e che si avvalgono del lavoro pressochè gratuito (ricambiato con somme che assomigliano più a sussidi che a stipendi ex art. 36 della Costituzione). La gente, le famiglie, devono sopravvivere e gli alti burocrati possono ben stringere la cinghia, per un pò.
Esiste poi un problema di depenalizzazione. E' assurdo che un essere umano debba suicidarsi per 20 euro, dopo che la propria reputazione e la propria vita siano state rovinate e che criminali che si sono venduti (tramite appalti e esternalizzazioni a beneficio di amici generosi) pezzi di pubblica amministrazione (pagata da tutti noi) siano lasciati o indisturbati a godersi pensioni milionarie e ville hollywoodiane che neppure colleghi di pari grado sono riusciti a costruirsi con i risparmi sullo stipendio o scoperti e interpellati solo dopo anni (è un caso?) quando ormai qualunque di questi reati risulta prescritto. Siamo arrivati all'assurdo che chi compie falso in bilancio esce pulito da accuse e chi in un momento di debolezza allunga una mano e accetta 20 euro oppure chi ruba una pera al supermercato viene sbattuto agli arresti.
Altra questione annosa è l'abuso che nella PA da anni viene operato del potere disciplinare che ormai non viene più azionato per interessi pubblici ma per finalità private di coloro che hanno interesse a creare un clima di terrore negli uffici che porti ad omertà e impunità, oltre che al silenzio verso l'esterno.Ricordiamo (anche nel caso di cui trattasi è capitato) che può accadere che vi sia una sospensione e quindi una pressochè totale non corresponsione dello stipendio, anche quando ci sono famiglie monoreddito di mezzo.
Andrebbe poi assicurata adeguata tutela giurisdizionale a chi lavora nello Stato. La difesa gratuita da parte dell'Avvocatura dello Stato va garantita a tutti i funzionari pubblici o a nessuno. Altrimenti si presume, in maniera inaccettabile, che l'alto dirigente possa essere identificato con lo Stato e il cittadino funzionario (che agisce sempre sulla base di ordini e prassi imposte dai superiori) no. E perchè? Per grazia divina? O per alimentare terrore e sottomissione a beneficio di chi nella PA fa affari ben più grossi dei 20 euro di quel poveraccio?
Lotta ai fannulloni, quindi, colpendo chiunque si comporti infedelmente nella PA, sia esso commesso o alto dirigente, riformare la PA a beneficio delle persone più bisognose, non licenziare ma attraverso la mobilità tra amministrazioni e un blocco del turn over legato alla informatizzazione , affrontare eventuali esuberi derivanti da limiti di spesa ma , anche, tornare a una vera contrattazione, sbloccare gli stipendi, aumentandoli significativamente, dando di più a chi lavora di più , eliminare l'assurda distanza tra gli stipendi dei dirigenti e quelli del resto del personale, liberalizzare il mercato del lavoro anche per i pubblici impiegati. Ridare dignità al lavoratore, rivedendo completamente l'esercizio del potere disciplinare e le modalità con le quali l'impiegato pubblico possa far valere i propri diritti, favorendo la crescita dello strumento arbitrale per dirimere le controversie interne.
Non sappiamo se in Italia qualche partito o il futuro governo sia d'accordo su queste proposte, quello che è certo che l'AGL combatterà per tradurle in realtà, nonostante il resto del mondo sindacale si occupi più della propria autoconservazione che del destino degli uomini che lavorano per la Collettività.
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